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Il Giacimento Paleolitico di Isernia "La Pineta"
Categoria : Siti archeologici

IL GIACIMENTO PALEOLITICO DI ISERNIA "LA PINETA"

Il giacimento Paleolitico di “Isernia La Pineta” fu scoperto durante i lavori di sbancamento per la costruzione della superstrada Napoli-Vasto.
E’ da allora che specialisti di diverse università italiane e straniere, sotto il coordinamento scientifico del Prof. Carlo Peretto dell’Università di Ferrara, hanno effettuato scavi, rilievi, restauri, datazioni consentendo l’acquisizione di un primo importante bagaglio di conoscenze sul sito paleolitico di Isernia, che per quantità e qualità di testimonianze ed informazioni è uno dei più prestigiosi documenti sulla vita dei nostri progenitori.

Isernia, circa 700.000 anni fa. Il bacino sul quale sorge attualmente la cittadina di origine sannita, nel cuore delle formazioni montuose dell’Appennino, è sede di un piccolo invaso lacustre, alimentato dal fiume Carpino e da grosse sorgenti responsabili dell’origine di potenti formazioni di travertino. Nelle savane erbose, lungo le rive,  in uno scenario esotico, oltre a bisonti, elefanti ed ippopotami vivono anche gli uomini paleolitici di Isernia, cacciatori, raccoglitori di vegetali di crescita spontanea, nomadi o semi nomadi.
Si tratta dell’homo erectus, il primo che raggiunge l’Eurasia dall’Africa intorno ad un milione e mezzo di anni fa, in possesso di importanti facoltà mentali e di un elevato grado di cooperazione sociale nell’ambito del gruppo. Questi uomini non hanno ancora l’usanza di seppellire i morti, non conoscono l’agricoltura o l’allevamento, e sono organizzati in piccole bande di tipo familiare, composte probabilmente da non più di 15-20 individui. Si tratta verosimilmente di società di tipo patriarcale, con una precisa divisione dei compiti su basi sessuali: le donne sono responsabili della raccolta dei vegetali e gli uomini dell’esercizio della caccia. Le prede preferite sono i bisonti ma gli uomini di Isernia non disdegnano certe altre faune come gli elefanti, i rinoceronti, gli orsi, i megaceri, gli ippopotami ed i cinghiali. Tutti animali di cui oggi, nel giacimento, ritroviamo ponderosi accumuli di ossa. Quelle di bisonte, dopo essere state spolpate vengono intenzionalmente fratturate per l’estrazione del nutriente midollo.
Lungo le coste del lago e del fiume abbondano lastrine di selce, provenienti dal disfacimento della formazione dei “diaspri varicolori”, fra Pesche e Carpinone, che vengono scheggiate per la fabbricazione degli strumenti. Le affilate schegge prodotte con lastrina di selce lunga una decina di centimetri sono sufficienti per macellare un intero bisonte.
Non si può stabilire con certezza per quanto tempo questi cacciatori si siano fermati nella località “La Pineta”, quanti fossero e che tipo di attività abbiano praticato.
Manufatti litici ed ossa di prede cacciate si estendono  su superfici particolarmente estese di diverse decine di migliaia di metri quadrati. Che potesse trattarsi di gruppi assai numerosi è altamente improbabile, così come è improbabile che si siano fermati per periodi prolungati o addirittura permanentemente nello stesso sito.
La spiegazione che oggi sembra più ragionevole è che siano ritornati ciclicamente, a più riprese, nella stessa area che, per ragioni legate all’approvvigionamento delle materie prime e dell’acqua e, forse, per particolari aspetti delle strategie venatorie, doveva presentare particolari vantaggi.
Una prova evidente che sono tornati in più circostanze sullo stesso sito la troviamo senz’altro nella distribuzione verticale delle testimonianze: le fasi del popolamento paleolitico dell’area sono documentate da una successione stratigrafica di almeno quattro orizzonti antropici. I paleolitici si insediano una prima volta sulla grossa bancata di travertino, abbandonando numerosissimi manufatti ricavati da selce, da calcare ed  i resti osteologici delle prede.
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Un’esondazione del fiume ricopre queste prime testimonianze con una spessa coltre di limo di origine lacustre. Al di sopra del limo, i preistorici tornano presto ad insediarsi, lasciando altre tracce del loro passaggio.
Questa volta è una colata di fango vulcanico a ricoprire tutto, sigillando i preziosi reperti e preservandoli dalla distruzione. I cristalli di sanidino e di biotite presenti in questi sedimenti di origine vulcanica possono essere datati col metodo Potassio/Argon, indicando un’età di 736.000 anni +/- 40.000. I preistorici tornano una terza volta nell’area, insediandosi al di sopra dei sedimenti vulcanici, abbandonando numerosi manufatti litici, ricavati da selce e da calcare e da alcuni resti osteologici di dimensioni per lo più ridotte. Ancora una volta le testimonianze vengono sigillate dall’accumulo di nuovi sedimenti  di origine fluviale.
Una quarta fase del popolamento della zona è documentata nell’area più meridionale del giacimento e si presenta caratterizzata da una fortissima concentrazione di manufatti, ricavati esclusivamente da selce e da scarsi resti osteologici di piccole dimensioni. Quest’ultimo gruppo di testimonianze si è rilavato di un interesse particolare, sia per la probabile presenza di tracce dell’uso del fuoco (le più antiche finora documentate al mondo), sia per l’ eccezionale affidabilità delle condizioni di giacitura dei reperti, che non sembrano aver subito nessun fenomeno di disturbo “postdeposizionale”: sono di aspetto freschissimo, fortemente concentrati in un’area delimitata e rimontano spesso fra di loro.
Non è semplice stabilire precisamente quale intervallo di tempo sia intercorso fra le quattro diverse fasi del popolamento paleolitico della zona: le caratteristiche dei sedimenti che vi si interpongono, che possono essersi accumulati anche in tempi rapidissimi, la costante presenza degli stessi tipi di faune e le forti analogie che caratterizzano i quattro gruppi di manufatti litici, lasciano pensare che si sia trattato di tempi particolarmente brevi (il che potrebbe significare da qualche mese a qualche secolo).

Fonte: L’ITINERANTE Periodico dell’Isernia Camper Club N. 9 del 1995