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Itinerari > Prodotti tipici > Tartufo > Introduzione
Introduzione
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Da cibo per ricchi a soggetto di studio il passo fu breve; il primo studioso che si occupò di tartufi fu senza dubbio Teofrasto, (filosofo greco che morì nel 287 a.C.discepolo di Aristotele), che lo considerava una pianta priva di radici circondata dalla terra,senza nessun filamento, prodotto dall' unione della pioggia con il tuono nelle grigie giornate autunnali.
I romani consideravano moltissimo le terfeziacee, tanto che Nerone lo considerava cibo degli Dei. Tutta l'èlite culturale di Roma subì il fascino di questi succedanei dei tartufi; Cicerone, Plutarco, Giovenale, Plinio, Porfirio e Locullo lo amavano come pochi. I tartufi che facevano impazzire i romani erano le terfezie e le tirmanie della Cirenaica(Libia); Plinio il vecchio, nella sua "Naturalis Historia" ci informa che la patria dei prelibati tartufi è la "laudatissima Africa" dove cresceva la terfezia prodotta copiosamente anche nei territori limitrofi a Damasco, (la terfezia è presente in Sardegna dove viene chiamata Tuvara de arenas, corrispondente alla Terfezia Magnusii Matt.). I romani non ebbero la fortuna ne l'intuito del figliol prodigo che contendeva ai maiali le ghiande, le terfezie e le tirmanie che crescevano sotto le quercie in Palestina,ignoravano l'arte di pascolare i porci non poterono trarne profitto e gli straordinari tartufi bianchi(Magnatum Pico), e i tartufineri pregiati(tuber melanosporum Vitt.), non entrarono a far parte della loro raffinatissime ricette. Questo nonostante che Roma avesse come imperatore un cittadino di Alba "Publio Elvio Pertinace"; purtroppo allora ad Alba il suo famoso tartufo era conosciuto solo ai cinghiali e ai maiali e i romani perdettero quella che si può definire un'occasione storica per far conoscenza dei tartufi, che rispetto alle terfezie e le tirmanie sono come la luce rispetto all'oscurità. I tartufi che deliziavano i palati dei patrizi romani erano scadenti solo nella qualità,perchè per quanto riguardava il prezzo, questo era salatissimo, tanto che Apicio nel suo "De re coquinaria" inserisce le sei ricette al tartufo nel VII libro, dove tratta delle pietanze più costose.
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