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Agnone_'Ndocciata
Agnone_'Ndocciata



La sera del 24 dicembre ad Agnone, al battere del campanone di Sant’Antonio (ovvero alle 17.30 quando si odono i rintocchi del campanile più alto del paese), i gruppi delle contrade (Capammonde e Capabballe, Colle Sente, Guastra, Sant’Onofrio e San Quirico) costituiti da centinaia di portatori di tutte le età, vestiti con i costumi tradizionali,  accendono le “ndocce” (torce) per incamminarsi lungo il corso principale del paese, che diviene così un gigantesco fiume di fuoco.

La ‘Ndocciata di Agnone anticamente si svolgeva a sera tarda fino al sopraggiungere della mezzanotte. Oggi, per esigenze turistiche, viene anticipata di alcune ore, ed ha inizio con l’arrivo della prima oscurità serale. Una volta le ‘ndocce erano accese soprattutto nell’agro della città e davanti agli usci delle case. Oggi esse sono destinate ad una spettacolare sfilata nel centro cittadino e una volta giunti in piazza si accende un gran falò, attorno al quale la popolazione si riunisce per dare l’addio a quanto di negativo c’è stato durante l’anno che sta per finire e che sarà simbolicamente bruciato nel fuoco.

Le 'ndocce sono grosse torce realizzate con legno di abete bianco e fasci di ginestre secche tenute insieme dallo spago. Le 'ndocce - alte fino a tre o quattro metri - hanno una caratteristica forma a raggiera, detta pure a ventaglio, e le torce che le compongono sono sempre di numero pari, variabile da due a venti. Le ‘ndocce vengono trasportate da uno o più portatori, in costume contadino, che introducono la testa tra i raggi e afferrano saldamente due fiaccole tenendo in equilibrio l’intera struttura. L’uso dell’abete bianco nella fabbricazione delle ‘ndocce trova giustificazione in vari elementi. Prima di tutto l’abete è pianta resinosa di facile combustione, pur essendo un legno molto pesante da trasportare; inoltre, è un legno di facile reperibilità nei boschi in provincia di Isernia, in particolare quello utilizzato per la ‘Ndocciata di Agnone è prelevato nel bosco di Montecastelbarone. La scelta dell’abete ha anche una valenza simbolica: è il più importante fitosimbolo della Natività; infatti, pur legato a rituali pagani, l’abete è divenuto per i cattolici il sacro albero natalizio.
I tronchi dell’abete, ripuliti della corteccia, vengono tagliati in sottili listelli di circa un metro e mezzo, legati tra loro a mazzo e sovrapposti fino a raggiungere l’altezza di tre/quattro metri. Questo lungo gruppo di masselli legnosi è arricchito in cima da steli secchi di ginestre. Le ‘ndocce così fatte, allorché ardono, scoppiettano caratterizzando anche sonoramente il rituale. Da come la ndoccia ardeva si traevano auspici: se soffiava la bora si prevedeva una buona annata al contrario se spirava il vento. Un fuoco scoppiettante e una fiamma consistente erano considerati ben auguranti  perché in grado di scacciare le streghe.

Una delle usanze meglio ricordate dagli anziani era quella di fare la “cumbarojje” vale a dire di fare bella figura agli occhi delle ragazze; si gareggiava, infatti, nel realizzare la torcia più bella e compatta al fine di farla durare di più. La “cumbarsa”, cioè la comparsa, aveva anche un altro significato: a sfilata conclusa, si portava la ndoccia sotto la finestra della fanciulla sulla quale erano riposte le proprie speranze. Se lei si affacciava significava che aveva gradito il gesto e la torcia finiva di consumarsi davanti al suo portone, altrimenti un secchio di acqua spegneva al contempo la torcia e l’ardore del giovane.



(Nella foto: la 'Ndocciata dell'8 dicembre 1996 a Roma in Piazza San Pietro)


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